Boston, 1860. In una città che si prepara a entrare nella modernità, nasce un bambino che porterà con sé un’ombra indelebile. Il suo nome è Jesse Pomeroy. Oggi quasi dimenticato, ma le sue gesta riecheggiano ancora tra le pagine de L’Alienista di Caleb Carr. E meritano di essere raccontate.
Per undici anni, Jesse è solo un volto tra tanti. Ma nell’autunno del 1871, qualcosa si spezza. Inizia a tendere trappole ad altri bambini, atti di violenza che superano ogni immaginazione: li picchia, li incide con un coltello, conficca spilloni nella loro carne. Sette vittime in pochi mesi. Il suo volto è inconfondibile: un labbro leporino e un occhio deformato lo rendono facilmente riconoscibile. Viene denunciato e rinchiuso in riformatorio. Dovrebbe restarci fino ai 21 anni.
Ma Jesse è astuto. Simula una buona condotta e ottiene la libertà dopo appena un anno. Non gli basta più infliggere dolore. Ora vuole uccidere.
Marzo 1874. Una bambina scompare. Il suo corpo viene ritrovato, massacrato. Un mese dopo, un bimbo di quattro anni subisce la stessa sorte. La scena è agghiacciante: la testa quasi staccata dal collo. Gli investigatori puntano subito il dito su Jesse. Lo interrogano. La sua risposta è glaciale: «Suppongo di averlo fatto io.»
Ha solo 14 anni. L’opinione pubblica chiede la forca. Ma il governatore decide diversamente: Jesse sarà condannato all’ergastolo.
Per quarantun anni, vive in isolamento. Nessun contatto, nessuna redenzione. Muore nel 1932, a 72 anni. Il più giovane serial killer della storia. E forse, il più inquietante.
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