Il profiling criminale è una tecnica investigativa che delinea il profilo psicologico e comportamentale di un autore ignoto sulla base delle tracce lasciate sulla scena del crimine.

Questa metodologia si basa su anni di casi analizzati e su modelli comportamentali ricorrenti. È nata negli Stati Uniti con l’Unità di Scienze Comportamentali dell’FBI, e da allora è diventata uno strumento centrale nelle indagini su serial killer, stupratori seriali e omicidi rituali. Il profiler studia il modus operandi, la firma del crimine, la dinamica relazionale e perfino la scelta delle vittime, per costruire un'identità probabile dell'autore.

In Europa il profiling ha preso piede in modo più cauto, ma oggi è una disciplina riconosciuta, spesso affiancata da psicologi forensi e criminologi.

👉 Un caso emblematico fu quello di Ted Bundy, dove il profilo tracciato dall’FBI anticipò molti aspetti poi confermati all’arresto.

Sezione curata da Antonello Sale, autore e podcaster true crime. Creatore del canale Youtube Scary Monster True Crime. Per altri casi reali analizzati, visita la pagina del mio blog.

Un serial killer uccide in momenti diversi con un periodo di pausa tra i delitti. Uno spree killer uccide più persone in un periodo molto breve, senza “raffreddamento” emotivo tra un omicidio e l’altro.



La differenza non è solo semantica: ha ricadute legali, investigative e psicologiche. Il serial killer costruisce il proprio crimine con rituali, simbologie e spesso una logica di potere o sadismo. Ha una vita parallela e può uccidere per anni senza essere scoperto. Lo spree killer agisce invece in modo impulsivo o per vendetta, in un lasso di tempo molto breve: ore o pochi giorni, passando da una vittima all’altra senza fermarsi.

👉 Un serial killer classico: Andrei Chikatilo (Russia). Uno spree killer celebre: Charles Starkweather (USA, 1958), che uccise 11 persone in una settimana.

Perché mancano prove, testimoni affidabili o tecnologie adeguate al momento del crimine. A volte, è il tempo stesso il miglior complice del colpevole.



Molti cold case si arenano per motivi banali: un testimone che non parla, un campione biologico conservato male, oppure indagini partite con pregiudizi o piste sbagliate. Ma ci sono anche ostacoli sistemici: mancanza di risorse, errori nei primi rilievi, o perfino corruzione e depistaggi.

Negli ultimi anni, grazie al DNA e alle banche dati, molti cold case si sono riaperti. Tuttavia, la memoria dei testimoni svanisce, le prove invecchiano, e le famiglie spesso non ottengono mai giustizia.

👉 Il caso di “Golden State Killer” fu risolto dopo 40 anni solo grazie al DNA genealogico e alla costanza di una vittima sopravvissuta.

Alcuni segnali precoci includono mancanza di empatia, bugie patologiche, manipolazione, crudeltà verso animali e totale assenza di senso di colpa.



Molti di questi segnali compaiono già nell’infanzia o nell’adolescenza. La cosiddetta "triade di Macdonald" — enuresi notturna, piromania e crudeltà verso gli animali — è stata a lungo considerata un campanello d’allarme, anche se oggi viene interpretata con maggiore cautela. L’elemento chiave è l'incapacità di provare emozioni autentiche o di stabilire relazioni affettive profonde.

👉 Il giovane Jeffrey Dahmer mostrava comportamenti sadici verso animali e totale isolamento emotivo già a scuola.

Jesse Pomeroy, americano, uccise due bambini tra i 12 e i 14 anni di età ed è considerato uno dei più giovani serial killer documentati.



Nato a Boston nel 1859, Pomeroy mostrava fin da piccolo una tendenza alla violenza sadica. A 11 anni iniziò a torturare bambini, e a 14 fu arrestato per due omicidi. Il suo caso colpì l’opinione pubblica non solo per la sua età, ma per la ferocia e la lucidità dei crimini. Condannato all’ergastolo, visse oltre 40 anni in isolamento.

👉 Anche in contesti più recenti, casi simili sono stati registrati, come Mary Bell nel Regno Unito, colpevole di due omicidi a soli 11 anni.

Il modus operandi (MO) è l’insieme di tecniche e comportamenti ripetuti che un criminale utilizza per commettere i suoi reati.



È come una “firma operativa” del criminale: comprende modalità di accesso, scelta delle vittime, strumenti usati e modalità di fuga. A differenza della firma psicologica — che esprime i bisogni interiori del colpevole — il modus operandi può cambiare nel tempo, specialmente se l’autore cerca di migliorare o adattarsi. Analizzarlo aiuta gli investigatori a collegare più reati a uno stesso soggetto.

👉 Il MO di Richard Ramirez (“Night Stalker”) variava leggermente, ma mostrava pattern costanti nella brutalità e nella scelta notturna delle vittime.

Un cold case è un caso di omicidio o scomparsa archiviato perché le indagini non hanno portato a un colpevole, ma che può essere riaperto se emergono nuove prove.



Il termine si riferisce a crimini rimasti senza soluzione dopo mesi, anni o decenni. Non significa che il caso sia chiuso per sempre: basta un nuovo test del DNA, un testimone che si fa avanti o una confessione per farlo riemergere. Spesso, i cold case nascondono errori investigativi, mancanza di risorse o depistaggi.

👉 Il caso di Elisa Claps in Italia è rimasto "cold" per 17 anni, finché non fu scoperto il corpo nella chiesa della Trinità a Potenza.

Perché trovano nell’altro una forma di conferma, potere o complicità che rafforza la loro devianza. In alcuni casi si parla di folie à deux, un delirio condiviso che sfocia nel crimine.



Quando due persone uccidono insieme, non sempre sono ugualmente coinvolte: spesso uno domina (leader) e l’altro segue (follower), spinto da bisogno affettivo, sottomissione o convinzioni distorte. La dinamica può sfociare in una vera simbiosi criminale: è il caso della folie à deux, dove una psicosi o una fantasia violenta diventa realtà condivisa. In altre coppie, la spinta è più sadica o manipolatoria che psicotica.

👉 Paul Bernardo e Karla Homolka, in Canada, sono un esempio estremo: lui sadico e dominante, lei complice e devota, anche oltre ogni limite morale.

Sì, esistono, ma spesso agiscono in modo meno spettacolare e più subdolo: avvelenamenti, omicidi familiari o motivazioni finanziarie, quindi ricevono meno attenzione mediatica.



Le donne serial killer rappresentano circa il 10–15% del totale. Raramente uccidono sconosciuti o in modo eclatante. Preferiscono vittime vicine (familiari, partner, pazienti) e usano metodi che lasciano meno tracce, come veleni o overdose simulate. I media, storicamente, hanno ignorato o minimizzato questi casi, alimentando lo stereotipo del “killer maschio”.

👉 Un caso noto è quello di Aileen Wuornos, che uccise sette uomini in Florida: fu definita dai media “la prima serial killer donna americana” — ma era ben lontana dall’essere la prima.